Introduzione (a cura dell'autore del sito). Burocrazia
e Vangelo non vanno d’accordo. Infatti il Vangelo vive nelle strade del mondo
non nei palazzi. Collaborare alla costruzione del Sogno di Dio non è un lavoro
d’ufficio. Non si può stare in giacca e cravatta perché per strada ci si sporca. Si è operai non
amministrativi. Non c’è orario e non è possibile seguire un’agenda rigidamente prestabilita. Infatti non si può dire al povero torna domani perché oggi c’è la
riunione con la Caritas. Non si può dire al malato aspetta a soffrire perché
oggi c’è la riunione sulla pastorale sanitaria. Non si può dire alla coppia di
giovani precari tornate domani perché oggi c’è il convegno sull'indissolubilità
del matrimonio. Dentro i palazzi la realtà si può vedere solo dalle finestre,
dall'alto e da lontano. Lo scollamento deforma il giudizio e rende insensibili.
Non si sa cos'è la disoccupazione, l’oppressione, l’emarginazione. Non si può essere
solidali rimanendo al proprio tavolino, circondati solo dalle proprie sicurezze.
Testo di Papa Francesco:
“La Curia è chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua missione. Eppure essa, come ogni corpo, come ogni corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità. E qui vorrei menzionare alcune di queste probabili malattie, malattie curiali. Sono malattie più abituali nella nostra vita di Curia. Sono malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore. Credo che ci aiuterà il “catalogo” delle malattie - sulla strada dei Padri del deserto, che facevano quei cataloghi - di cui parliamo oggi: ci aiuterà a prepararci al Sacramento della Riconciliazione, che sarà un bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.
1. La malattia del sentirsi “immortale”,
“immune” o addirittura “indispensabile” trascurando i necessari e abituali
controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca
di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe
aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di
essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del
Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfr Lc 12, 13-21) e anche di coloro
che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio
di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli
Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non
vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più
deboli e bisognosi. L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci
peccatori e di dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare» (Lc 17, 10).
2. Un’altra: La malattia del
“martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro
che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”:
il sedersi sotto i piedi di Gesù (cfr Lc 10,38-42). Per questo Gesù ha chiamato
i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr Mc 6,31) perché trascurare il
necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per
chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va
vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare
le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che
insegna il Qoèlet che «c’è un tempo per ogni cosa» (3,1-15).
3. C’è anche la malattia
dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un
cuore di pietra e un “duro collo” (At 7,51-60); di coloro che, strada facendo,
perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le
carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfr Eb 3,12). È
pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per farci piangere con
coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro
che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr Fil 2,5-11) perché il loro cuore, con
il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare
incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr Mt 22,34-40). Essere cristiano,
infatti, significa «avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil
2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità.
4. La malattia dell’eccessiva
pianificazione e del funzionalismo. Quando l'apostolo pianifica tutto minuziosamente
e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano,
diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario,
ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà
dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana
pianificazione (cfr Gv 3,8). Si cade in questa malattia perché «è sempre più
facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In
realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non
ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo… - addomesticare lo Spirito
Santo! - … Egli è freschezza, fantasia, novità».
5. La malattia del cattivo
coordinamento. Quando i membri perdono la comunione tra di loro e il corpo
smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando
un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non
vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede dice al braccio:
“non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così
disagio e scandalo.
6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer
spirituale”: ossia la dimenticanza della “storia della salvezza”, della storia
personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo
delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa
gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna
attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute
spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro
incontro con il Signore; in coloro che non fanno il senso deuteronomico della
vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni,
capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé dei muri e delle
abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con
le loro stesse mani.
7. La malattia della rivalità e della
vanagloria. Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di
onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole
di San Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con
tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi
l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,1-4). È la malattia
che ci porta a essere uomini e donne falsi e a vivere un falso “misticismo” e un
falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo li definisce «nemici della Croce di
Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano
che alle cose della terra» (Fil 3,19).
8. La malattia della schizofrenia
esistenziale. E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto
dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che
lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso
coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende
burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete.
Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano
severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente
dissoluta. La conversione è alquanto urgente e indispensabile per questa
gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32).
9. La malattia delle chiacchiere, delle
mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa malattia ho già parlato tante volte
ma mai abbastanza. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo
per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola diventare
“seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue
freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle
persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano
dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza
esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,14-18). Fratelli, guardiamoci
dal terrorismo delle chiacchiere!
10. La malattia di divinizzare i capi: è
la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro
benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone
e non Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando
unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone
meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cfr Gal
5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano
alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza
psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità.
11. La malattia dell’indifferenza verso
gli altri. Quando ognuno pensa solo a sé stesso e perde la sincerità e il
calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al
servizio dei colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e
la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri. Quando,
per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece
di rialzarlo e incoraggiarlo.
12. La malattia della faccia funerea.
Ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri
occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri –
soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza. In
realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di
paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona
cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un
cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti
coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito
gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili,
anche nelle situazioni difficili. Quanto bene ci fa una buona dose di sano
umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san Thomas More:
io la prego tutti i giorni, mi fa bene.
13. La malattia dell’accumulare: quando
l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando
beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà,
nulla di materiale potremo portare con noi perché “il sudario non ha tasche” e tutti
i nostri tesori terreni - anche se sono regali - non potranno mai riempire quel
vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone
il Signore ripete: «Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di
nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo
... Sii dunque zelante e convertiti» (Ap 3,17-19). L’accumulo appesantisce
solamente e rallenta il cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un
tempo, i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria
leggera della Chiesa”. Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che, mentre
caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali,
si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad
osservare: questa sarebbe la “cavalleria leggera della Chiesa?”. I nostri traslochi
sono un segno di questa malattia.
14. La malattia dei circoli chiusi, dove
l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune
situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni
ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che
minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai
nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o il “fuoco amico” dei
commilitoni è il pericolo più subdolo[15]. È il male che colpisce dal di
dentro[16]; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina»
(Lc 11,17).
15. E l’ultima: la malattia del profitto
mondano, degli esibizionismi, quando l’apostolo trasforma il suo servizio
in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri.
È la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri
e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di
screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per
esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto
male al Corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo
pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della
trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che chiamava i
giornalisti per raccontare loro - e inventare - delle cose private e riservate
dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui contava solo vedersi sulle prime
pagine, perché così si sentiva “potente e avvincente”, causando tanto male agli
altri e alla Chiesa. Poverino!
Fratelli, tali malattie e tali
tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia,
comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire
sia a livello individuale sia comunitario. Occorre chiarire che è solo lo
Spirito Santo - l’anima del Corpo Mistico di Cristo, come afferma il Credo
Niceno-Costantinopolitano: «Credo... nello Spirito Santo, Signore e
vivificatore» - a guarire ogni infermità. È lo Spirito Santo che sostiene ogni
sincero sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione. È Lui a
farci capire che ogni membro partecipa alla santificazione del corpo e al suo
indebolimento. È Lui il promotore dell’armonia[18]: “Ipse harmonia est”, dice
san Basilio. Sant'Agostino ci dice: «Finché una parte aderisce al corpo, la sua
guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né
guarirsi». La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e
della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e
con perseveranza la cura. Dunque, siamo chiamati - in questo tempo di Natale e
per tutto il tempo del nostro servizio e della nostra esistenza - a vivere
«secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di
lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e
connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia
propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se
stesso nella carità» (Ef 4,15-16)”.
(Dal Discorso di Papa Francesco per la presentazione
degli auguri natalizi della curia romana, 22/12/2014)