I
poveri subiscono continuamente il peso dell'incomprensione. È terribile sentirsi trattare come
utenti di un servizio. I poveri trovano molti operatori e volontari ma pochi amici. Non sentono mai domande del tipo: “Riposato bene stanotte?”, “Facciamo una
passeggiata?”. Più di distributori automatici di cibo avrebbero bisogno di
parole. Qualcuno che si avvicini e che passi un po’ di tempo con loro mentre
sono in fila per la doccia o per i documenti. Noi andiamo in crisi se non
troviamo lo yogurtino ai cereali ma
loro non avendo soldi non possono scegliersi il cibo. Per loro vige il divieto
assoluto di gusto. Devono mangiare “quello che passa il convento” e dopo
baciarci i piedi sennò ci offendiamo. I poveri vanno responsabilizzati altrimenti
se ne approfittano dicono gli esperti uscendo dall'erboristeria o dal
ristorante giapponese. Non devono essere né troppo trasandati altrimenti costringono
il benefattore a dotarsi di disinfettante né eccessivamente puliti perché scoraggiano
lo stesso benefattore dal suo lavaggio di coscienza settimanale. Contribuiamo
ogni giorno con il nostro c.d. lavoro alla devastazione dell’ambiente, delle
coscienze e della dignità delle persone ma un giorno alla settimana ci
dedichiamo alle nostre vittime. Siamo beneficiari di un sistema che genera
morte materiale e spirituale ma coltiviamo l’hobby della solidarietà. I poveri
sono la manifestazione del peccato dell’uomo. L’universo ha elargito per tutte le necessità, senza
quel peccato i poveri semplicemente non esisterebbero. Sono la prova
incontestabile che ci condanna. Ecco perché Dio si identifica proprio nei
poveri: per redimerci attraverso di loro.
Teologia dei poveri.