La sbarra che preme sulle spalle dell’oppresso¹
è lunga e pesante. Può essere rimossa solo con l’aiuto di altre persone. Nell'oppressione
ci si cade da singoli e se ne esce solo collettivamente. L’oppressore trova
molti alleati coscienti o ipocritamente incoscienti, l’oppresso trova molti
pregiudizi. Crediamo erroneamente di essere prima individui poi comunità, ed
invece se non ci percepiamo comunità non siamo nemmeno individui ma burattini. Non
esiste destino individuale svincolato da quello comune. Questa dovrebbe essere
la notizia di apertura dei TG. Se ignoriamo l’angoscia del prossimo ce la
ritroveremo addosso senza sapere da dove viene e come ha fatto ad entrare. Ci
spingono a fuggire dal dolore altrui senza aggiungere che è uguale al nostro.
Cambiano solo le manifestazioni. Se non
ci facciamo coinvolgere avremo meno problemi ma inizieremo a morire dentro. Da
questo dovremmo capire che siamo fratelli: non riusciamo a costruire la
felicità personale sulla sofferenza dell’altro. Nonostante gli sforzi dei
tristi ingannatori di questo mondo qualcosa ci inquieta ma non sappiamo esattamente
cosa sia. E non servono le cuffiette con la musica per non sentire il grido dei poveri², i vetri oscurati per
non vedere l’uomo mezzo morto³ e le porte blindate per non aprire al forestiero4
che bussa. Non possiamo rimuovere il dolore degli uomini perché lo portiamo
dentro.
1) “Strappa l’oppresso dal potere dell’oppressore, non esser pusillanime
quando giudichi” (Siracide 4,9)
2) “Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e
ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue
sofferenze”. (Esodo 3,7)
3) “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e incappò nei briganti che lo
spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”
(Vangelo di Luca 10,30)
4)
“…ero forestiero e mi avete ospitato”
(Vangelo di Matteo 25,35)