L’uomo prova un dolore esistenziale
apparentemente irrisolvibile*. Lo sente ma non comprende da dove viene. Subisce gli effetti senza conoscere il
responsabile. È una specie di vuoto che in prima battuta cerca di colmare con
le disponibilità del mondo: affetti, attività, hobby. Ma l’uomo sprofonda
nonostante tutte le soluzioni escogitate. Gli appigli cedono, sembrano non
funzionare le prevenzioni e non esistere cure adeguate. Il divertimento si
trasforma in noia, i sentimenti trascurati rischiano di alterarsi in abitudine.
Ogni volta pensa di farcela e di aver trovato finalmente la strategia giusta.
Poi il dolore cambia forma e direzione e si ripresenta più acuto di prima. Si
ritrova spiazzato e constata amaramente che tutte le difese sono
crollate. Impara così che davanti alla sofferenza è irrimediabilmente
impreparato. Finalmente si attiva per sottoporre il nostro caso agli esperti
della materia. Inizia un lungo ed estenuante pellegrinaggio: raccoglie pareri,
conosce nuove teorie ma non trova risposte utili alla sua misteriosa
patologia. L’assurdità e l’ingiustizia del male lo piegano. Comprende che si
tratta di qualcosa che lo supera, che non è in grado né di risolvere né di
spiegare. Comincia, allora, a guardare in alto e ad ascoltare dentro. Il
dolore non sparisce, rimane lì inestirpabile. Riesce però ad accoglierlo perché
Qualcuno gli mostra il suo senso restituendogli così la speranza.
* “Guai a me a causa della mia ferita;
la mia piaga è incurabile. Eppure io avevo pensato: «È solo un dolore che io
posso sopportare». (Geremia 10,19)