Siamo circondati dall'assurdo, la
nostra ragione deve arrendersi, il nostro spirito può solo domandare. Non
raggiungiamo mai porti sicuri, più che una navigazione sembra un vagabondare.
Siamo alla deriva nonostante tutte le certezze costruite a tavolino e sopra la
sabbia. Quando pensiamo di esserci definiti ci scopriamo diversi e quasi sempre
peggiori dell’autoritratto con molti colori che avevamo dipinto. Ci ritroviamo
con le nostre ombre capaci di prendere il sopravvento, con le fatiche che
mettono in discussione anche le cose a cui teniamo di più. Ci dobbiamo
accogliere così: in continuo cambiamento e quindi in continua ri-comprensione di noi stessi. Le
domande esistenziali, nonostante tutti gli sforzi, in questa vita rimarranno
senza risposte: “Chi è Dio?” e “Chi
sono io?”. Giusto indagare ma alla fine potremo solo accettare. Rassegniamoci, ci sono troppe variabili, troppi elementi
che non conosciamo o che comunque non sappiamo gestire. Intendo, però, una
rassegnazione attiva nel senso che non ci impedisce di agire e di dare il nostro
contributo nella realtà che ci riguarda. Ma lo facciamo a partire dalla nostra
piccolezza e non dalla nostra immaginaria potenza. Pronti anche a non vedere
risultati oggettivi, ci dovrà bastare l’aver agito. Nell'atto che compiamo,
infatti, Dio trova la strada per entrare nel mondo e realizzare i suoi
misteriosi disegni*. Questa modalità è conosciuta perché sperimentabile le
altre ci sono totalmente ignote o quasi.
* ”Invece
di spine cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; ciò sarà a
gloria del Signore, un segno eterno che non scomparirà” (Isaia 55,13)