Passa ai contenuti principali
Quando
soffriamo ci sentiamo abbandonati da Dio (1). Fatichiamo a riconoscerlo nelle difficoltà:
lo riteniamo alternativamente assente o responsabile. Nell'immaginario
costruito dalla cultura, o meglio dal passaparola, Dio si riconosce dai
risultati economico-sociali. Il facoltoso è benedetto, il
povero/malato/migrante maledetto. È stato trasformato in una specie di amuleto:
non può convivere con l’insuccesso. In pratica è la proiezione del nostro
pseudo-concetto di fortuna. Il Dio vincente e potente che rassicura così tanto
la nostra razionalità giustificandone la volontà di dominio. Dio posizionato
sul trono, in alto, distaccato e così reso conforme al nostro egoismo e
disimpegno. Quindi una divinità non incarnata, una specie di supereroe da
chiamare in caso di pericolo. Un pronto intervento da coinvolgere al
verificarsi di imprevisti. Eppure il Dio rivelato dal Vangelo non sceglie gli
onori né la forza. Non si impone, non fa come l’uomo. Desidera rassicurare del
suo amore non convincere delle sue prerogative. Passa per la valle del pianto non la sorvola, assume la sofferenza
senza vergogna. Continua ad essere Dio nonostante la fragilità sperimentata.
Continua ad essere il Santo nonostante la condanna come
bestemmiatore/sobillatore. Continua ad essere Misericordia nonostante la
sfiducia, il disconoscimento e i fraintendimenti degli uomini. E continua ad
essere il Salvatore pur morendo. Dio profondamente umano che, per amore, rompe
le catene delle logiche asfittiche del mondo. Uomo profondamente divino che,
per amore, patisce la sventura e la violenza prodotte dal mondo.
“Passando per la valle del pianto la cambia in
una sorgente” (Salmo 84, 7)