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Non attendiamo
nessuno, abbiamo l’agenda già piena. Siamo troppo indaffarati (nel senso di
pieni di affari). Non avere tempo è segno di importanza insieme alla
banalizzazione dell’inutile (nel senso di senza utile), e del non-conveniente. L’impassibilità
è la maschera che indossa l’uomo contemporaneo di successo. La rimozione della
sensibilità e della capacità di coinvolgimento è la cifra distintiva della
società libera di divertirsi e schiava dei consumi. Non speriamo nulla di nuovo
e di diverso perché quelli che l’hanno fatto sono stati sconfitti, eliminati o
sono impazziti. Meglio adeguarsi ed ottenere i relativi vantaggi. Meglio
vendersi ed ottenere il prezzo di scambio. Non ci meravigliamo perché i nostri
occhi sanno vedere ma non contemplare. Andiamo di fretta per rispettare il
palinsesto della giornata. E lo spettacolo deve proseguire anche quando
incontriamo la sofferenza. Siamo meri esecutori, non poniamo domande e ci
accontentiamo di una formazione funzionale e acritica. Il silenzio ci spaventa perché
rivela il nostro vuoto interiore. Non riconosciamo la voce della coscienza e ignorando
l’afflato spirituale ci sfugge il senso delle cose. Ci occupiamo volentieri del
gossip, a fatica del mistero.
Ripetiamo schemi: così avanziamo senza prospettive. In pratica galleggiamo e
scegliendo la superficie ci teniamo a distanza dal profondo, dimora di Dio.