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Il
nulla alla fine non dovrebbe spaventarci più di tanto. In qualche modo ci
appartiene: da lì veniamo e lì spesso ricadiamo. Nel nulla abbiamo incontrato la
mano che all'origine ci ha tratto fuori (permettendoci di esistere) ed
incontriamo quella che ci riprende dalle cadute e rimedia alle inconsistenze. Ritroviamo
in noi la capacità di operare il bene: il punto vero è vedere se poi scegliamo
di compierlo. È autentica libertà, non c’è alcuna determinazione: possiamo agire
all'opposto rispetto a chi ci ha voluto. Contro noi stessi, gli altri e la creazione intera. Nasciamo
evidentemente senza colpe in senso specifico, per questo Gesù ci suggerisce di
tornare come bambini, ossia in uno stato di armonia. Partecipiamo ad una condizione di fragilità,
ed il mondo ha la capacità di ferirci. Ma
è il nostro rifiuto di farci guarire dall'Unico Taumaturgo a trasformare la
ferita in peccato. La fragilità accolta diventa esperienza di salvezza,
altrimenti di opposizione e di rifiuto. L’autosufficienza e la mancata diagnosi
di vulnerabilità genetico-strutturale mantengono nella menzogna di sé. Il non
sentirsi voluti (e quindi amati) da Qualcuno induce alla chiusura autoreferenziale,
radice per eccellenza del non-amore. Il nulla è disperazione per l’orgoglioso e
il superbo, luogo di salvezza per chi riconosce la propria creaturalità
gratuita senza diritto e pretesa. Non ci siamo dati la vita da soli, e nemmeno siamo
in grado di conservarla. La morte è affidamento per la creatura, buio per chi
si inganna.