Ci
troviamo di fronte ad un mistero di presenza-assenza o di lontananza-vicinanza
come scrive mirabilmente Margherita Porete. Nelle Scritture ci viene narrata la
storia di una relazione ma noi pretendiamo di sganciare la conoscenza dall'esperienza.
Prendiamo riga e squadra, costruiamo complicate figure geometriche in cui proiettiamo
le nostre frustrazioni, fantasie, oppure (quando va bene) le ferite. Una volta
Dio è tondo, altre volte quadrato, così ci esponiamo al ridicolo indagando qualcosa
che non solo è impossibile indagare ma anche inutile e soprattutto non
richiesto: la sua essenza o struttura. Prendiamo il calcolatore e nel nostro
laboratorio completamente asettico elaboriamo teorie fallibili spacciandole per
verità. Procedendo secondo razionalità non possiamo non urtare contro il muro
della contraddittorietà. Perché nessuno ha il coraggio di informare
scienziati, filosofi e quei teologi che stanno troppo alla scrivania e poco
davanti al tabernacolo che siamo solo ombre in cerca di luce? Dio pur
conoscendo bene l’uomo si è voluto calare nel suo abisso, nei suoi tormenti fino
alla disperazione di sentirsi abbandonato. La prossimità compassionevole come
vocazione dell’uomo: questo è il segreto che il Vangelo ci rivela. Tutte le
speculazioni non impregnate dalle lacrime dei poveri, dalla solitudine dei
malati, dall'emarginazione dei detenuti, dall'angoscia degli oppressi possono
essere serenamente tralasciate. La Parola si è fatta carne sofferente e in quei
luoghi vive rendendosi comprensibile.
Teologia dei poveri.