Il
venerdì santo è il giorno in cui l’uomo rifiuta la convivenza, fondata sull'amore
e sul riconoscimento reciproco, immaginata da Dio, preferendo le dinamiche
conflittuali e di sopraffazione imposte dal Potere. È il giorno in cui prevale
l’antropologia deformata sulla narrazione veritiera. È il giorno di cui non sperimentiamo
ancora del tutto la fine. È il giorno in cui siamo chiamati ad abbracciare la
croce per ribadire il nostro impegno per la giustizia di Dio e cioè per l’instaurazione
del suo Regno. È il giorno in cui siamo chiamati a ribadire da che parte stiamo:
sulla croce con i crocifissi o con i manipolatori, i falsi testimoni, i pusillanimi,
con la ragione di Stato e di religione, con chi deride gli sventurati. La croce
è il testimone che il Dio difensore degli orfani e delle vedove ci ha lasciato.
Chi lo ama prosegue il tragitto prendendola su di sé. La croce non come strumento
di penitenza, o peggio come simbolo di remissività verso le iniquità del mondo,
ma come possibile conseguenza dell’impegno per le vittime della disumanizzazione accettata (per convenienza) dalla maggioranza. La croce rappresenta il sogno infranto di Dio che il
discepolo è chiamato a far rivivere. A qualunque costo. Anche della vita. Le
croci si trovano sulle strade solitarie ed impervie percorse dai profeti. Chi,
invece, non alza la voce contro l’oppressione, chi pronuncia parola di compromesso,
generiche e mai di denuncia dei responsabili del malessere sociale incontra incarichi
e poltrone, non certo croci.
Teologia dei poveri.