Da
tempo, forse da sempre, assistiamo al tentativo, della teologia dominante e
dell’uomo religioso (nel senso di ossequioso), di ricondurre Dio nei nostri schemi
razionali, invece di trascenderli per aprirsi alla sua creatività e alterità. In
definitiva, si cerca solo un garante delle nostre tesi, non Qualcuno da
incontrare e da cogliere nella sua totale alternatività valoriale ed
esistenziale. Si confondono le elaborazioni soggettive - o comunitarie -, spesso
poi successivamente corrette o smentite, con ciò che è stato rivelato da
Cristo. Si preferiscono le ipotesi asfittiche, proprie dell’uomo, all'immaginazione
sorprendente ed infinita di Dio. D'altronde, si tratta di costruire un Dio
razionale per renderlo innocuo ed impedirgli di sovvertire l’ordine instaurato:
così perfetto e così idolatrico. Si relega Dio nelle forme e nelle espressioni più o
meno solenni, senza nessuna incidenza sulle decisioni della vita reale. Si riflette
su Dio teorizzando la gratuità, la libertà e la compassione, mentre si fa esperienza
di mercificazione, di sfruttamento, di competizione a cui ci si adegua
giustificandosi con l’inevitabilità.
Ma si può essere seguaci di Cristo stando in pace di fronte all'oppressione?
Si trovano dei cristiani nei luoghi di assistenza, è vero, ma si registra una spaventosa latitanza nella critica dei responsabili dell’iniquità, come nei processi e nei conflitti per la liberazione degli ultimi. Si preferiscono i rapporti di buon vicinato con il Potere, invece dei gesti di solidarietà con gli oppressi. Dio, intanto, non si stanca dell’uomo e continua ad immaginare una convivenza diversa dall'attuale. Ci ha donato il mondo immaginandolo come un giardino, noi l’abbiamo trasformato in discarica. Ci ha donato i beni necessari e l’intelligenza per sopperire alle esigenze di tutti, noi, rinunciando alla collaborazione, abbiamo distribuito violentemente le risorse in modo diseguale. E non serve costruire un Paradiso come luogo di ricompensa, magari degli sforzi dell'ascetica muscolare, visto che troveremo un luogo di condivisione in cui continueremo a vivere la carità che abbiamo iniziato a praticare qui.
Testo di Pedro Casaldáliga
Ma si può essere seguaci di Cristo stando in pace di fronte all'oppressione?
Si trovano dei cristiani nei luoghi di assistenza, è vero, ma si registra una spaventosa latitanza nella critica dei responsabili dell’iniquità, come nei processi e nei conflitti per la liberazione degli ultimi. Si preferiscono i rapporti di buon vicinato con il Potere, invece dei gesti di solidarietà con gli oppressi. Dio, intanto, non si stanca dell’uomo e continua ad immaginare una convivenza diversa dall'attuale. Ci ha donato il mondo immaginandolo come un giardino, noi l’abbiamo trasformato in discarica. Ci ha donato i beni necessari e l’intelligenza per sopperire alle esigenze di tutti, noi, rinunciando alla collaborazione, abbiamo distribuito violentemente le risorse in modo diseguale. E non serve costruire un Paradiso come luogo di ricompensa, magari degli sforzi dell'ascetica muscolare, visto che troveremo un luogo di condivisione in cui continueremo a vivere la carità che abbiamo iniziato a praticare qui.
Testo di Pedro Casaldáliga
«Credo
che oggi si possa vivere soltanto da ribelli. E credo che si possa essere
cristiani solo se si è rivoluzionari perché non basta più pretendere di
‘riformare’ il mondo. I provvidenzialismi disincarnati, i neoliberalismi e i
neocapitalismi e certe democrazie e altri cauti riformismi che mentono o si
ingannano da sé –cinici o stupidi- servono unicamente a salvare il privilegio
dei pochi privilegiati alle spalle della produttiva sottomissione dei molti
morti di fame. E, per ciò stesso, mi sembrano oggettivamente iniqui»
(Pedro
Casaldáliga, Credo nella giustizia e nella speranza, Quaderni Asal 27,
Associazione per gli Studi e la documentazione dei problemi socio-religiosi
dell’America Latina, Roma 1976, p. 197)