Mentre
ricevono l’abbraccio di Colui che conosce le loro sofferenze per averle
condivise e che ha donato la sua vita per il riscatto degli ultimi, inizia l’omelia.
È domenica. Attendono trepidanti un riferimento alla loro condizione, una
parola di solidarietà per non perdere vigore nella lotta. Cedere allo sconforto
in questi casi significa morire.
Ed
invece ascoltano astrazioni, concetti fuori dal vissuto ugualmente validi in Africa,
in Asia, in Australia, in America, oppure atemporali, cioè ugualmente validi
per il medioevo, per l’età moderna e contemporanea. Linguaggio e contenuto
calati dall'alto, impermeabili alla storia degli invisibili, disincarnati ma allo
stesso tempo melliflui nei confronti del Potere.
Nel
mondo parallelo in cui vive parte della Chiesa-Istituzione si sposano le tesi
di Confindustria (e del regime mediatico al seguito) sul reddito di dignità e
non le aspettative di circa 3 milioni di disoccupati, di altrettanti milioni di
precari, e dei circa 4 milioni di poveri assoluti, Occorre creare lavoro non
erogare reddito: affermano coloro che godono dell’otto per mille e di altri incomprensibili
ed antievangelici privilegi. Si bollano come populisti interventi di giustizia
sociale già presenti in molti Paesi, sapendo, pure, che una eventuale crescita economica o una modifica dell'organizzazione del lavoro,
nelle condizioni attuali, non riuscirebbero ad assorbire stabilmente un numero consistente
di disoccupati e di precari. Il reddito di dignità (meritevolmente appoggiato anche dall'associazione Libera fondata da don
Ciotti) è una misura evangelica e scandalizza che la Chiesa-Istituzione sia critica o indifferente. Le alternative reali, infatti, sono la miseria oppure lo
sfruttamento.
Testi
di Papa Francesco:
«L’omelia
è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di
un Pastore con il suo popolo» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 135)
«Il
predicatore deve anche porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i
fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della
Parola ed anche un contemplativo del popolo. […] Si tratta di collegare il messaggio
del testo biblico con una situazione umana, con qualcosa che essi vivono, con un’esperienza
che ha bisogno della luce della Parola. […] Ciò che si cerca di scoprire è “ciò
che il Signore ha da dire in questa circostanza”. Dunque, la preparazione della
predicazione si trasforma in un esercizio di discernimento evangelico, nel quale
si cerca di riconoscere – alla luce dello Spirito – quell’“’appello’”, che Dio
fa risuonare nella stessa situazione storica: anche in essa e attraverso di essa
Dio chiama il credente”». (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 154)
«Frequentemente
accade che i predicatori si servono di parole che hanno appreso durante i loro
studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio comune
delle persone che li ascoltano. Ci sono parole proprie della teologia o della
catechesi, il cui significato non è comprensibile per la maggioranza dei
cristiani Il rischio maggiore per un predicatore è abituarsi al proprio
linguaggio e pensare che tutti gli altri lo usino e lo comprendano spontaneamente.
Se si vuole adattarsi al linguaggio degli altri per poter arrivare ad essi con
la Parola, si deve ascoltare molto, bisogna condividere la vita della gente e
prestarvi volentieri attenzione». (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 158)
«Nessuno
può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle
persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza
preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza
esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini». (Papa Francesco,
Evangelii Gaudium, 183)
«Una
fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un
profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare
qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. […] Sebbene “il
giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica”,
la Chiesa “non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia”. (Papa
Francesco, Evangelii Gaudium, 183)
«Ogni
cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la
liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi
pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad
ascoltare il grido del povero e soccorrerlo». (Papa Francesco, Evangelii
Gaudium, 187)
«La
bellezza stessa del Vangelo non sempre può essere adeguatamente manifestata da
noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per
quelli che la società scarta e getta via» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium,
195)
«Quando
[Gesù] iniziò ad annunciare il Regno, lo seguivano folle di diseredati, e così
manifestò quello che Egli stesso aveva detto: “Lo Spirito del Signore è sopra
di me; perché mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai
poveri il lieto annuncio” (Lc 4,18). A quelli che erano gravati dal dolore,
oppressi dalla povertà, assicurò che Dio li portava al centro del suo cuore: “Beati
voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio” (Lc 6,20); e con essi si
identificò: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare”, insegnando che la
misericordia verso di loro è la chiave del cielo (cfr Mt 25,35s)» (Papa
Francesco, Evangelii Gaudium, 197)
«Per
la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale,
sociologica, politica o filosofica» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 198)
«È
necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare [dai poveri]. La nuova
evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro
esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a
scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma
anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la
misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro». (Papa
Francesco, Evangelii Gaudium, 198)
«Nessuno
dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano
di prestare più attenzione ad altre incombenze» (Papa Francesco, Evangelii
Gaudium, 201)
«La
necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere,
non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società,
ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo
portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune
urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non
si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all'autonomia
assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali
della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun
problema. L'inequità è la radice dei mali sociali». (Papa Francesco, Evangelii
Gaudium, 202)