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Fermiamoci,
chiudiamo gli occhi, ma per guardare meglio, cioè per analizzare, riflettere, decidere.
Abbiamo bisogno di rivedere i protocolli sanitari per ridurre al minimo il
contagio con il capitalismo, pericoloso virus deformante. Individuiamo i
focolai dentro di noi, studiamo i sintomi fisici come il senso di alienazione
per l’eccesso di fatica ed i sintomi spirituali come l’egoismo e il desiderio di
prevalere sull'altro. Cambiamo abitudini, rimettiamo in discussione ciò che è
stato assorbito come presupposto ineludibile, modifichiamo i parametri. Sottoponiamo
ad un rigoroso vaglio critico la nostra eredità culturale. Liberiamoci del
senso di superiorità, deponiamo le armi sia fisiche che ideologiche e
rinunciamo ad ogni forma di conquista e di sfruttamento. Convertiamoci dall'eurocentrismo,
chiediamo scusa e consideriamo preziosa ogni diversità (o meglio alterità). Interrompiamo la propaganda ed iniziamo un lungo
tirocinio dedicato all'ascolto. Ricominciamo da capo, anche se non ci siamo mai
riusciti e questo ci spaventa. Evitiamo l’isolamento e la costruzione di oasi
felici ma non condivise, sentiamoci coinvolti perché non esiste sofferenza che
non ci riguardi o di cui non siamo responsabili. Ascoltiamo il grido degli
oppressi e non il sibilo dei tanti Lucignolo in giacca e cravatta, arruolati dal
Potere. Riscopriamo la bellezza delle relazioni gratuite e disertiamo le gare
di braccio di ferro. Rientriamo in contatto con le nostre profondità e leggiamo
la Scrittura per guarire le ferite, illuminare le tenebre e continuare a sperare contro ogni speranza (1). In una parola: preghiamo.
(1)
Cfr. Lettera ai Romani 4,18