Era
il 1992: la primavera si interruppe a maggio e a luglio si era già in pieno
inverno. Le temperature erano alte, ma si gelava dentro e si tremava. Per lo smarrimento, non per la paura.
La
speranza di diventare qualcosa di diverso giaceva sepolta in un cratere ricolmo
di detriti. Il riscatto crocifisso sulla pubblica via perché tutti potessero
comprendere la lezione.
Abbassare
la testa e baciare le mani: questo ci meritavamo secondo i nemici che stavano
davanti e i traditori che stavano dietro.
Ed
invece il senso di giustizia che ti fa scegliere una parte e non l'altra, che
ti fa dire «No» anche quando sei l’unico, non riuscirono a colpirlo.
È sopravvissuto al martirio, anzi forse grazie
al martirio.
Le
persone libere «facevano il tifo per voi»
ma non è bastato. Ci voleva una rivolta morale per accompagnare e proteggere il
vostro impegno. Non doveva essere la vostra lotta contro la mafia, ma, insieme
a voi, la lotta di tutti, contro la mafia e i pezzi deviati dello Stato.
Anche
quest’anno arriveranno il 23 maggio e il 19 luglio insieme alla solita stucchevole
retorica di alcuni. Ma noi ormai sappiamo riconoscerli: commemorano, ma non
hanno contribuito all'accertamento della verità o addirittura hanno depistato o
ostacolato. Commemorano senza memoria. Commemorano, ma non ne sono degni.
Avete
seminato coraggio nella patria dell’eterno, inquietante, apparentemente inestinguibile “compromesso morale”. Eravate uomini e donne,
niente eroismi, solo dovere e responsabilità. Siete diventati testimoni. Adesso
sempre più dovete diventare per i giovani il manifesto della loro liberazione.