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Quel giorno a Capaci

A Giovanni, Francesca, Vito, Rocco, Antonio.

Era il 1992: la primavera si interruppe a maggio e a luglio si era già in pieno inverno. Le temperature erano alte, ma si gelava dentro e si tremava. Per lo smarrimento, non per la paura.

La speranza di diventare qualcosa di diverso giaceva sepolta in un cratere ricolmo di detriti. Il riscatto crocifisso sulla pubblica via perché tutti potessero comprendere la lezione.

Abbassare la testa e baciare le mani: questo ci meritavamo secondo i nemici che stavano davanti e i traditori che stavano dietro.

Ed invece il senso di giustizia che ti fa scegliere una parte e non l'altra, che ti fa dire «No» anche quando sei l’unico, non riuscirono a colpirlo. È  sopravvissuto al martirio, anzi forse grazie al martirio.

Le persone libere «facevano il tifo per voi» ma non è bastato. Ci voleva una rivolta morale per accompagnare e proteggere il vostro impegno. Non doveva essere la vostra lotta contro la mafia, ma, insieme a voi, la lotta di tutti, contro la mafia e i pezzi deviati dello Stato.

Anche quest’anno arriveranno il 23 maggio e il 19 luglio insieme alla solita stucchevole retorica di alcuni. Ma noi ormai sappiamo riconoscerli: commemorano, ma non hanno contribuito all'accertamento della verità o addirittura hanno depistato o ostacolato. Commemorano senza memoria. Commemorano, ma non ne sono degni.

Avete seminato coraggio nella patria dell’eterno, inquietante,  apparentemente inestinguibile “compromesso morale”. Eravate uomini e donne, niente eroismi, solo dovere e responsabilità. Siete diventati testimoni. Adesso sempre più dovete diventare per i giovani il manifesto della loro liberazione.

Dalle scuole deve partire quella rivolta morale che noi non abbiamo avuto la forza di realizzare.