Leggo
la Parola di Dio, prego, rifletto, e ripudio nel profondo le logiche dell’Impero:
la mercificazione delle relazioni e il paradigma delle disuguaglianze. Decido
di sottrarmi, ne parlo, ma nessuno condivide. Incontro solo sostenitori della
teoria dell’adeguamento necessario. «Disumanizzazione
in cambio di benessere», mi suggeriscono. Lo sdegno cresce, ma invano.
Mancano le risposte, cioè le alternative. Non cedo, mi oppongo agli oppressori.
Necessitati o meno, ma sempre oppressori. Grido forte contro l’iniquità. Mi
trasformo in scudo umano contro l’ingiustizia. «Il prezzo è prima l’emarginazione poi l’espulsione», mi avvertono.
Pago il prezzo, rimango schiacciato, sconfitto ma irrazionalmente aggrappato alla vita. La repressione non riesce a
spegnere l’utopia della libertà. Allora mi avvio su strade solitarie in cerca
di pace. Costruisco oasi per disintossicarmi dai veleni di una società a misura
di profitto. Consolido la mia autenticità, riconosco di nuovo la voce della
grazia. È delicata, mi rende felice. Immerso nel silenzio scopro la gratitudine
per la bellezza di un fiore o per il calore del sole in pieno inverno. Posso
vivere semplicemente, senza impedimenti e manipolazioni. Mi sento bene lontano
dai ring predisposti dal capitalismo.
Il pugilato aziendale, condominiale, automobilistico e sociale, in genere, infatti
non fa per me. Non dovrei dirlo, per non sfigurare davanti ai numerosissimi aspiranti
superman che mi circondano, ma lo
dico lo stesso. Consapevole della mia fragilità mi sento riconciliato con il
senso dell’esistenza. Scompare il destino deciso in un consiglio di
amministrazione e si fa largo un’esperienza carica di possibilità non scritte e
non determinate. È tutto bellissimo, rimangono solo in lontananza i lamenti dei
miei fratelli oppressi. Posso decidere di non farci caso per non turbare la mia
quiete. Posso giustificarmi raccontandomi che il mio posto adesso è sul monte e
da lì non devo muovermi. Ma non funziona perché quei lamenti mi entrano dentro,
non sono più fuori. Ormai li porto con me, non posso più distanziarmene. Così,
esco dall'oasi, scendo dal monte e incontro te. «Che
farai?», mi chiedono gli altri dispiaciuti. «Non
so di preciso. Ma, mi interessa stare, più che fare. Stare con chi soffre»
rispondo sentendo un fuoco dentro.
Teologia dei poveri.