Ci
avviciniamo a te, Signore, non perché abbiamo adempiuto, ma perché ci hai
amato. Alziamo lo sguardo dal nostro “io”
che ci rattrista e annoia e fissiamo un punto in alto, confidando solo nella
tua vastità. Prendiamo in mano il codice e riscontriamo che molte norme ci
condannano. Cerchiamo le cause di giustificazione e non le troviamo. Cerchiamo
le attenuanti e non le troviamo. Il cammino personale, il tempo storico, le motivazioni
non contano. Prevale l’oggetto, la condotta, sui soggetti. Allora depositiamo
il codice, ricordandoci che sei venuto per quelli come noi. Ripeticelo, Signore,
ancora una volta: «Non sono venuto a
chiamare i giusti, ma i peccatori» (1). Intanto il giudice interiore, applicando
le normative in vigore, ci ripropone una ad una le violazioni e le relative
sanzioni. Abbiamo bisogno di silenzio, abbiamo bisogno di ascoltare la voce
della grazia al posto di quella della legge. Dobbiamo custodire lo spazio della
relazione con te, che nessun adempimento potrà sostituire e che nessuna infedeltà
potrà compromettere. È la tua commovente volontà di comunione con noi. A tutti
i costi. Non in dipendenza dei comportamenti. E non ti rassegni, anche se su
questa volontà si montano impalcature abusive che costringono a continue e
faticose operazioni di smantellamento e di ripristino dell’originale e dell’autentico.
Vuoi stare davanti a noi come Persona e ti trasformano in istituzione, vuoi
dialogare in confidenza e pretendono di scriverti il discorso. Ma noi ti
riconosciamo nelle sofferenze dei poveri, ti contempliamo nella gratuità dei
gesti, ti adoriamo scegliendo, nella libertà, il tuo Regno. Sappiamo che non
ti lasci ingabbiare. E ti aspettiamo. Sempre. Che il nostro Esodo, finalmente,
abbia inizio.
(1)
Vangelo di Matteo 9,13