Mettiamo
radici nella melma e ci sentiamo sprofondare. Sempre rivolti all'esterno,
preferiamo gli ordini alle intuizioni della libertà. Le sicurezze
all'imprevedibile. Costruiamo palazzi nel deserto invece di camminare verso
terre inesplorate e ricche di sorgenti.
Contiamo
il tempo. Manca l’attesa dell’immutabile e della pienezza. Preferiamo gli
inganni dell’ “io” alle consolazioni
di un abbraccio infinito. La solitudine ontologica non la trasformiamo in
desiderio di un Incontro, dell’Incontro.
Preghiamo
senza ascoltare. Preghiamo senza dialogare. Chiusi a difendere qualcosa
destinato a svanire come “pula al vento”
(1). Non cogliamo la bellezza dell’alterità rispetto all'identico e la verità del gratuito rispetto al calcolato.
Incontriamo
i poveri, risultato visibile del nostro peccato. Proprio lì Cristo ci aspetta
per perdonarci e guarirci perché «laddove è
abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (2) e laddove è abbondata la morte, ha
sovrabbondato la vita.
Moriamo
e ci sentiamo amati. Moriamo e iniziamo ad amare.
(1)
Cfr. Salmo 35,5; Salmo 1,4
(2)
Lettera ai Romani 5,20