Camminiamo,
ci muoviamo, respiriamo ancora ma siamo già morti svariate volte. Nell'amico/a che
abbiamo dovuto salutare per l’ultima volta, nella giustizia che non abbiamo
visto, nella denuncia profetica che non abbiamo udito. Ci ritroviamo lo
sfruttatore ostentare la sua vittoria di plastica (ma non senza conseguenze), e
il povero soffrire la derisione per l’irrimediabilità della sua sconfitta
terrena. Sperimentiamo la nostra debolezza, ma nella società infettata dalla competitività
non osiamo confessarlo, ci sentiamo travolti dal flusso frenetico ed inarrestabile
delle faccende quotidiane, ma non sappiamo reagire, fuggiamo dal vuoto, ma
senza risultato perché il vuoto è dentro di noi. Cosa fare allora? Sarebbe
utile rivolgersi alla scienza, qualcuno risponde. Sicuramente è importante
conoscere i meccanismi psicologici individuali e le dinamiche sociologiche
collettive per affrontare positivamente l’esistenza. Ma non è sufficiente. Ci sono
dei traumi che rimangono insuperabili nonostante l’utilizzo delle migliori competenze
umane. Ci sono dei disagi che rimangono irrisolvibili nonostante l’aiuto delle migliori
discipline umane. Infatti le ferite sono così profonde che possono essere raggiunte
e guarite solo dalla grazia di Dio. E la porta di accesso è l’orazione [preghiera silenziosa], scrive Santa Teresa d’Avila (1). La grazia va accolta.
Non si tratta tanto di una richiesta, ma di un semplice consenso. Il trauma non
viene eliminato, non assistiamo, cioè, ad un’opera di rimozione ma ad una
metamorfosi. Vengono spezzati gli automatismi comportamentali conseguenza di
quelle ferite, ci riscopriamo liberi, non più così emotivamente inconsistenti e
ripiegati sulla difensiva. Liberati interiormente -liberati cioè dalla lettura schiavizzante
dell’evento accaduto- alziamo lo sguardo e con il suo continuo aiuto ci accorgiamo finalmente di avere dei fratelli e delle sorelle.
«
Non è piuttosto questo il digiuno che
voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare
liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il
pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire
uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora
la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto» (Isaia 58, 6-8).
Insieme
alla preghiera l’altro luogo di guarigione stabilito da Dio è la relazione con
i poveri. (Su questo abbiamo scritto qui).