Élite nel panico.
Li
vedi aggirarsi, senza meta: alcuni, sotto shock,
con il terrore negli occhi, in cerca di un appoggio per non stramazzare; altri,
gonfi di rabbia ed in preda ai peggiori istinti. Assistono al ridursi dell’immunità
di Sistema che salvaguardava i loro privilegi ed assicurava il finanziamento ai
loro luridi eccessi, e non ce la fanno.
Il
raccomandato cronico, ad esempio, non si capacita come possa venire in mente a qualcuno di
aiutare i poveri, erogando un reddito. Alla distribuzione del panino secco o
della pasta cotta (anzi scotta) il
giorno prima, ci arriva, ma al reddito no. Che il povero possa sopravvivere,
lo tollera, ma che abbia, anche un minimo di autonomia e di aiuto nella
ricerca di un impiego, lo trova ripugnante. Un vero insulto ai suoi sforzi
per scovare una raccomandazione.
Il
proprietario della fabbrichetta,
accumulatore seriale di denaro, nonché abituale destinatario di agevolazioni
fiscali, che ha appena finito di brindare al Jobs Act, si sente tradito, abbandonato, perso. Come il banchiere/bancario
che è riuscito, finalmente, a convincere un pensionato ad investire la sua liquidazione
in sicurissime azioni, e il petroliere
che ha inaugurato una trivella tra gli applausi della claque. Tutti osservano, ormai rassegnati, i loro servi travestiti da burocrati,
politici, giornalisti, rivelarsi incapaci di convincere i disperati dell’ineluttabilità della loro condizione e quindi ad evitare rivendicazioni.
Il
professionista di successo, l’uomo dotato intellettualmente o manualmente, si
sente offeso per la violazione del parametro borghese fin qui vigente: colpevolezza
e condanna irrevocabile per chi si trova in difficoltà.
Poveri,
disoccupati, precari, non devono spaventarsi dei vari tipi di violenza istituzionalizzata
e legalizzata, ma devono prendere coscienza di essere il motore di una nuova forma di
convivenza fondata sulla giustizia sociale.
Commenti
Posta un commento
Altre informazioni su Privacy Policy e Cookie nella barra laterale