Avevi
una straordinaria capacità professionale (in particolare nella diagnosi), ma
qui non ti ricordiamo per questo. Neanche la scelta di vivere il celibato, pur
nella dimensione laicale, ci colpisce in modo determinante, perché crediamo sia
stata meramente funzionale alla testimonianza che hai desiderato incarnare e
proporre. In gioventù, l’impressionante bellezza di una ragazza, ha riempito i
tuoi sogni (1), ma sono rimasti tali e, successivamente, non hanno, comunque,
prodotto rimpianti o frustrazioni. Discorso diverso per i morsi della
solitudine affettiva che hai potuto sopportare e superare solo con un’intensa vita
di preghiera e con la partecipazione quotidiana all'Eucaristia (2). Santa Messa
e tempo di adorazione: iniziava, così, la giornata lavorativa del prof. Moscati
presso l’Ospedale degli Incurabili. È, invece, la tua radicale opzione
evangelica che ci ispira ed incoraggia. Povero e dei poveri: come uomo e come
medico. Della professione medica hai rappresentato l’aspetto missionario e di
servizio, rinunciando al benessere che, anche allora, si portava dietro:
macchine, carrozze, privilegi vari. Hai rifiutato l’insegnamento dalla cattedra
universitaria, preferendo quello tra i letti dei malati (3). Vestivi
modestamente, doveva essere Nina, tua sorella e “complice” nella carità verso
gli ultimi (4), ad insistere per rinnovare il guardaroba. Eri
distaccato dal denaro e dalle cose. Hai trasformato la tua abitazione in una
succursale dell’ospedale e il tuo stipendio in uno strumento della Provvidenza.
E non solo i poveri non li facevi pagare, ma eri tu a dargli i soldi per comprare
medicine e quando occorreva cibo. Poi, oltre a quelli che venivano direttamente a
casa, ti preoccupavi di raggiungere i bisognosi nei quartieri disagiati della
città. Ci sono tanti episodi esemplificativi della tua santità (anzi dell’opera
di Dio nella tua vita), noi riportiamo quello che più ci ha commosso:
«Si racconta che un uomo anziano, povero e
malato, viveva solo in un tugurio fuori città. Era a rischio per una malattia
di cuore e Moscati lo sapeva: aveva bisogno di continui controlli. Allora, per
poterlo controllare fece un patto col suo paziente: doveva farsi trovare al bar
ogni mattina quando lui passava per andare all'Ospedale degli Incurabili. Qui
avrebbe potuto far colazione pre-pagata dal dottore, tutti i giorni. Questi si
affacciava: se il vecchietto c'era, salutava e proseguiva; se non c'era era
segno che stava male e il dottore lo avrebbe raggiunto a casa» (5).
Grazie
Giuseppe, fratello, per aver creduto all'utopia di Dio che contempla comunità solidali
in cui ci si mette a servizio l’uno dell’altro, soprattutto dei fragili, e dove non sono previste arrampicate sociali.
Grazie
per aver prestato braccia, gambe, mente e cuore a Dio affinché si potessero realizzare
storicamente le sue promesse di Alleanza con l’uomo.
Grazie
per aver rispettato la vocazione evangelica che è la Buona Notizia per i poveri
e non l’assistenza spirituale della borghesia.
Grazie
per aver vissuto la piccolezza che hai imparato da Teresa di Lisieux, leggendo
la sua autobiografia (6).
Grazie
per aver vissuto Esodo 3,7 (7) ascoltando il grido di dolore degli oppressi.
(1) Circostanza riportata nel Diario di
Giuseppe Moscati, citata in Beatrice Immediata, Giuseppe Moscati. Un uomo, un
medico, un santo, Paoline, Milano 2008, p. 38
(2) "Amiamo il Signore senza misura, vale a dire,
senza misura nel dolore e senza misura nell'amore" (Giuseppe Moscati,
citato in Giorgio Papàsogli, Giuseppe Moscati. Il medico santo, Edizioni
Paoline, Milano 1991, p. 70)
(3) «Beati noi medici, tanto spesso incapaci di
allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre i corpi, abbiamo
di fronte delle anime immortali, per le quali urge il precetto evangelico di
amarle come noi stessi. Gli ammalati sono la figura di Gesù Cristo» (Giuseppe
Moscati, citato in Giorgio Papàsogli, Giuseppe Moscati. Il medico santo,
Edizioni Paoline, Milano 1991, p. 70)
(4) «Mio fratello ebbe a cuore la carità verso il
prossimo. Tutta l'opera sua la svolgeva gratuitamente e quel poco che prendeva
da clienti che lui riteneva ricchi e abbienti, egli lo disponeva in opere di
beneficenza e di carità, offriva medicine ai poveri e secondo l'opportunità li
sovvenzionava. Per complice nel fare il bene al prossimo aveva la nostra
sorella Nina» (Eugenio Moscati, fratello di Giuseppe, Deposizione al
Processo di beatificazione, citata in Beatrice Immediata, Giuseppe Moscati. Un
uomo, un medico, un santo, Paoline, Milano 2008, p. 73)
(5) Riportato
in Beatrice Immediata, Giuseppe Moscati. Un uomo, un medico, un santo, Paoline,
Milano 2008, p. 67
(6) «
…pochi giorni innanzi, leggevo nell’autobiografia
della beata Teresa del Bambin Gesù una frase fatta per me: “Anche lo
scoraggiamento, mio Dio, è peccato”. Sì, è un peccato di superbia, perché mi fa
credere che possa aver accettato un’auto-opinione di aver fatto grandi cose!
Quando invece si è stati sempre un servo inutile» (Giuseppe Moscati, Diario
18/7/1923, citato in Antonio Tripodoro, Giuseppe Moscati. Il medico Santo di
Napoli. Visto attraverso i suoi scritti e le testimonianze dei contemporanei,
Napoli 1993, p. 252
(7) «Il Signore disse: “Ho osservato la miseria
del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti;
conosco infatti le sue sofferenze» (Esodo 3,7)
(8) "Il dolore va trattato non come un guizzo o
una contrazione muscolare, ma come il grido di un'anima, a cui un fratello, il
medico, accorre con l'ardore dell'amore,
della carità"
(Giuseppe
Moscati, citato in Beatrice Immediata, Giuseppe Moscati, Un uomo un medico un
santo, Paoline, Milano 2008, p. 143)
Moscati dovrebbe essere fonte di ispirazione per ciascuno che si appresta a essere medico o a diventarlo, come ricordato, soprattutto la sua capacità diagnostica ci spiega qual è la cosa più importante della medicina: la diagnosi e la seconda cosa più importante è: la diagnosi! Il suo essere uomo e terapeuta fino alle estreme conseguenze, fanno di lui una fonte di ispirazione continua.
RispondiElimina