Amore preveniente.
«Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (1).
Da soli non riusciamo, pur impegnandoci e pur volendolo, nemmeno a convertirci seriamente. Appena modifichiamo qualche nostro comportamento marginale, oppure eseguiamo tutte le devozioni che abbiamo pianificato, corriamo al tempio per autoincensarci: «Vedi Signore mi attengo alla dottrina, non sono come quegli atei, quei fornicatori e quei nullafacenti là fuori» (2).
Illudendoci che la conversione dipenda dai nostri sforzi, ci esaltiamo davanti ai primi risultati (o presunti tali). E giudichiamo, nel senso di condannare. E ci sentiamo migliori, nel senso di emarginare.
Crediamo che la conversione consista in adempimenti o rinunce muscolari capaci di farci arrivare puri davanti Dio, e perciò di essergli graditi. La perfetta esecuzione assicurerebbe, infatti -magari dopo adeguate verifiche e controlli incrociati- il perdono di Dio.
Ma la prospettiva indicata dal profeta è completamente diversa: il perdono di Dio precede la nostra conversione. Ed è proprio la constatazione (da parte nostra) del perdono, a suscitare la conversione.
Non stiamo nell'orizzonte del merito (tipico fraintendimento della religione borghese), ma in quello della gratitudine (tipica esperienza della spiritualità profetica e neotestamentaria). Davanti alla dimostrazione dell'amore gratuito di Dio -che si espone al nostro rifiuto, che si abbassa per colmare di misericordia il baratro del nostro peccato- la nostra mente si sente spiazzata, la nostra libertà rispettata, il nostro cuore profondamente guarito.
Non stiamo nell'orizzonte del merito (tipico fraintendimento della religione borghese), ma in quello della gratitudine (tipica esperienza della spiritualità profetica e neotestamentaria). Davanti alla dimostrazione dell'amore gratuito di Dio -che si espone al nostro rifiuto, che si abbassa per colmare di misericordia il baratro del nostro peccato- la nostra mente si sente spiazzata, la nostra libertà rispettata, il nostro cuore profondamente guarito.
«Accogli il mio Amore», è la preghiera che Dio, una volta raggiunto il punto più buio, rivolge a noi.
«Sì! E non permettere più che io me ne vada» è quella che noi possiamo rivolgere a Lui.
È Dio che converte. È Dio che guarisce. È Dio che opera, santificando. A noi sono richiesti solo la disponibilità e l'impegno che, poi, è il frutto della nostra libera scelta.
«Sì! E non permettere più che io me ne vada» è quella che noi possiamo rivolgere a Lui.
È Dio che converte. È Dio che guarisce. È Dio che opera, santificando. A noi sono richiesti solo la disponibilità e l'impegno che, poi, è il frutto della nostra libera scelta.
La causa del Regno di Dio.
«Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (3).
Il cristiano dovrebbe essere una persona interiormente in pace, ma socialmente molto inquieta. Che non odia, perché è negazione della natura umana, ma che si indigna davanti all'oppressione dei miseri. Dove c’è un cristiano, l’iniquo dovrebbe trovare un oppositore. Dove c’è un cristiano, le strutture di peccato sociale dovrebbero trovare un sovversivo. Dove c’è un cristiano, un regime di morte dovrebbe trovare un martire.
Il cristiano dovrebbe essere impegnato a realizzare il Regno di Dio, non a rinviarlo, a contraddire il Male che calpesta gli ultimi, e non scenderci a patti. Il cristiano dovrebbe dissentire dalla narrazione dei dominanti e dissociarsi dai loro modelli idolatrici. Il cristiano si dovrebbe riconoscere ad occhio nudo: in cammino con gli oppressi, in silenzio per ascoltare lo Spirito, nella consapevolezza della propria fragilità e della santità di Dio.
(1) Osea 2, 21-22
(2) Cfr. Vangelo di Luca 18, 9-14
(3) Michea 6,8
è così, è Dio che prega in noi
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