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Giovanni Crisostomo: i beni dei ricchi appartengono ai poveri

«Quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della povertà, non giudicare, non chieder conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura!» (Giovanni Crisostomo)

La maschera dei ricchi.

«…prendi posto nel mondo, come se fosse un teatro, e osserva quelli che recitano sulla scena; se vedi molti ricchi, non pensare che lo siano davvero, ma che indossano la maschera dei ricchi. Infatti, come capita che chi sulla scena interpreta la parte del re e del generale è un servo o uno di quelli che al mercato vendono i fichi e l’uva, così questo ricco spesso è il più povero di tutti. Infatti, qualora gli strappi la maschera, ne sveli la coscienza e gli penetri nella mente, scoprirai un’assoluta povertà di virtù e che è l’uomo più spregevole. Infatti come a teatro, al calar della sera, dopo che gli spettatori se ne sono andati e gli attori sono usciti di scena e si sono tolti il costume, finalmente rivelano la loro reale condizione quelli che a tutti sembrano re e generali. Così avviene nella vita: dopo che è sopraggiunta la morte ed è finito lo spettacolo, tutti si tolgono la maschera della ricchezza e della povertà e se ne vanno via da questo mondo. E sono giudicati solamente in base alle loro opere, alcuni realmente ricchi, altri poveri, alcuni degni di onore, altri di biasimo» (1).

Condividere i beni.

«…è un furto anche il non dare parte dei propri beni. Forse vi sembra stupefacente quanto affermo, ma non vi stupite: infatti, a partire dalle Scritture divine, vi offrirò una testimonianza, che dice come la rapina, la frode e il furto non consistono solo nel rubare i beni altrui, ma anche nel non dare agli altri parte dei propri beni. Di quale passo sto parlando? Rimproverando i giudei per mezzo del profeta, Dio dice: “La terra ha dato i suoi frutti e non avete offerto le decime: le cose tolte ai poveri sono nelle vostre case” (Cf. Gen 1,2; Mal 3,10; Is 3,14). Come a dire: “Poiché non avete fatto le solite offerte, avete rubato al povero”. Dice questo per mostrare ai ricchi che appartengono ai poveri i beni che possiedono, sia che li abbiano ricevuti per eredità paterna, sia che li abbiano accumulati in un altro modo. E in un altro passo dice “Non spogliare la vita del povero” (Sir 4,1). Chi spoglia, spoglia i beni altrui: infatti si parla di “spogliazione”, quando ci impadroniamo dei beni di un altro. E da questo, perciò, impariamo che, se non facciamo l’elemosina, saremo puniti come i ladri. Infatti i beni sono del Signore, in qualunque modo li abbiamo accumulati: e se li daremo ai bisognosi, ne otterremo in gran quantità. Per questo Dio ti ha concesso di possedere più degli altri: non per sperperarlo nella lussuria, nell'ubriachezza, nelle gozzoviglie, nelle vesti lussuose e in altre mollezze, ma per dividerlo con i bisognosi. Infatti come un collettore di imposte, qualora spenda a suo piacimento il denaro che gli è affidato e tralasci di distribuirlo a che gli è stato ordinato, ne paga le conseguenze e va incontro alla morte, così anche il ricco è una sorta di collettore che riceve delle ricchezze da spartire con i poveri e che ha il compito di distribuirle ai suoi compagni di servitù nel bisogno. Dunque, qualora spenda per sé più del necessario, nell'aldilà andrà incontro a una pena gravissima. Infatti i beni che possiede non appartengono a lui, ma ai suoi compagni di servitù» (2).

Il senso dell'elemosina.

«…chi è generoso non deve chieder conto della condotta, ma solamente migliorare la condizione di povertà e appagare il bisogno. Il povero ha una sola difesa: la sua povertà e la condizione di bisogno in cui si trova. Non chiedergli altro; ma, fosse pure l’uomo più malvagio al mondo, qualora manca del nutrimento necessario, liberiamolo dalla fame. Anche questo ha comandato di fare il Cristo, quando ha detto “Siate simili al Padre vostro che è nei cieli, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45). L’uomo misericordioso è un porto per chi è nel bisogno: il porto accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malvagi, buoni o siano come siano quelli che si trovano in pericolo, il porto li mette al riparo all'interno della sua insenatura. Anche tu, dunque, quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della povertà, non giudicare, non chieder conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura! Perché procurarti delle noie con le tue stesse mani? Dio ti ha liberato da ogni preoccupazione superflua e da ogni vana ricerca […] Si chiama elemosina proprio perché la diamo anche a chi non la merita. Anche Paolo esorta a farlo, dicendo: “Non stancatevi di fare il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede” (Gal 6,9-10). Se ci mettiamo ad esaminare puntigliosamente gli immeritevoli, forse non ce ne capiterà mai uno che la meriti; al contrario, se diamo anche agli immeritevoli, sicuramente verrà incontro alle nostre mani chi la merita e chi è in grado di compensare l’indegnità di quegli altri […] Infatti l’unico merito del povero è il suo bisogno: e se qualcuno ci viene incontro con questo, non esigiamo nulla di più. Infatti non facciamo l’elemosina al comportamento, ma all'uomo; né proviamo compassione per la sua virtù, ma per la sua sventura, affinché anche noi possiamo ottenere dal Signore grande misericordia e noi, che non la meritiamo, possiamo godere della sua filantropia. Se infatti ci mettessimo ad esaminare i meriti dei nostri compagni di servitù e a fare mille investigazioni, Dio farà lo stesso anche con noi: e noi, che con insistenza chiediamo conto delle azioni dei nostri compagni di servitù, verremo privati della filantropia che viene dall'alto. Egli dice: “Con il giudizio con cui giudicate sarete giudicati”» (Mt 7,2) (3).

(1) Giovanni Crisostomo, Discorso II,3 in Discorsi sul povero Lazzaro, a cura di Massimiliano Signifredi, Città Nuova, Roma 2009, p. 65-66
(2) Giovanni Crisostomo, Discorso II,4 in Discorsi sul povero Lazzaro, a cura di Massimiliano Signifredi, Città Nuova, Roma 2009, p. 68-69
(3) Giovanni Crisostomo, Discorso II,5-6 in Discorsi sul povero Lazzaro, a cura di Massimiliano Signifredi, Città Nuova, Roma 2009, p. 71-73

Foto: Pixabay

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