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Parabola del Padre Misericordioso. Spunti di riflessione.

"... questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato" (Luca 15,32)
Come sempre la Parola ci strappa 
dall'alienazione dei fraintendimenti 
e ci apre orizzonti inaspettati.
La Parola ci ridona la possibilità
di rinascere sempre.

La parabola del Padre Misericordioso, 
riportata nel Vangelo di Luca è, chiaramente,
ricchissima di significati.
In questa sede vorrei focalizzare l'attenzione
sul tentativo del padre di guarire
il figlio maggiore dalla sindrome del merito.

Il figlio maggiore indossa la maschera
della perfezione e dell'obbedienza legale,
credendo così di emanciparsi dalla fragilità
della condizione umana. 
Ma è solo apparenza che deforma lo sguardo:
infatti quella maschera gli impedisce
di riconoscere sia il volto del padre, 
sia quello del fratello.

Scambia il padre per una specie di datore di lavoro,
gli rinfaccia il suo zelo, lo accusa di ingratitudine,
E scambia il fratello per un rivale con cui gareggiare,
ricorda i suoi errori, non considera minimamente
la possibilità di un cambiamento.


Nelle disavventure del figlio minore,
invece, ritroviamo le disavventure
ordinarie dell'umanità.
Il figlio minore cade schiavo inseguendo idoli
camuffati da scelte di vita.
Spezzando la relazione con Dio,
non considerandosi più figlio,
si ritrova a desiderare le carrube 
dei porci, rimane cioè senza dignità.

In sostanza, il figlio minore,
facendo esperienza della propria fragilità,
si rende conto che il suo unico onore
consiste nell'essere figlio amato,
e così comprende che occorre, per vivere, tornare dal padre.
Il fratello maggiore, invece, dissimulando la propria
fragilità , è convinto di meritare la relazione con il padre
per i suoi puntuali adempimenti.

Il figlio minore, dopo averla rinnegata, 
può adesso ricevere la relazione del padre
come dono.
Il figlio maggiore, invece, chiuso nelle sue logiche 
contabili, non è in grado di farlo.

Nella parabola c'è un'immagine decisiva:
il Padre (che si lascia guidare dalla Misericordia),
rimane in casa in attesa del ritorno del figlio,
non vuole correre il rischio che il figlio non riceva l'abbraccio
dopo il suo ripensamento, non vuole correre il rischio di risultare assente.
Il figlio maggiore, invece, sta nei campi, perché lui non attende nessuno,
e non spera in nessuna novità.

Non si può essere cristiani senza entrare 
in questa prospettiva: sentirsi bisognosi di misericordia per sé,
ed offrire al prossimo un'altra possibilità.

Quanti figli maggiori,
invece, tra i credenti cosiddetti praticanti!
Quanti!
Accecati dal rispetto formale dei precetti,
dagli asfittici consensi della loro ristretta cerchia,
non riescono a gioire, insieme a Dio,
quando i lontani, gli imperfetti, gli irregolari,
si avvicinano.
Incapaci di gratitudine, credono che la loro fedeltà
dipenda dai loro propositi, e non dalla Grazia.

I figli maggiori
devono abbandonare
la bugia che hanno costruito
su se stessi: solo così potranno accogliere
l'Amore gratuito, sovrabbondante, di Dio.

E solo così potranno comprendere queste 
parole di Isacco di Ninive:
«Segno luminoso della bellezza della tua anima sarà questo:
che tu, esaminando te stesso, ti trovi pieno di misericordia per tutti gli uomini,
il tuo cuore è afflitto per la compassione che provi per loro,
e brucia come nel fuoco, senza fare distinzione di persone.
Attraverso ciò, l’immagine del Padre che è nei cieli si rivelerà in te continuamente»*.


* Isacco di Ninive citazione in Sabino Chialà, Dall’ascesi eremitica alla misericordia infinita,
Ricerche su Isacco di Ninive e la sua fortuna, Leo S. Olschki, Firenze, p. 259

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