tutta la teologia e la filosofia
del mondo,
possiamo imparare a memoria
le poesie più belle
e recitare le preghiere più commoventi,
ma davanti al dolore vero
(e ancora di più davanti alla morte)
ci scopriamo sempre impreparati.
Dobbiamo riconoscerlo:
il dolore e la morte
ci fanno sentire in balia
di un destino avverso.
non è la spiritualità dei superuomini,
non insegna ad affrontare
la sofferenza e la morte
da eroi, ma da figli,
non propone la forza temeraria
ma la fiducia.
Nel Getsèmani Gesù avverte paura e angoscia
e confida ai suoi amici la sua profonda tristezza (1).
Luca nel Vangelo
riporta, addirittura, lo shock psicofisico, subito dal Signore,
che gli procura la rottura dei capillari (2).
Gesù vive la fragilità dell'uomo,
ma si affida al Padre
credendo nel compimento del disegno di salvezza,
nonostante abbia davanti ai suoi occhi
la capacità di contraddizione,
di annientamento della sofferenza e della morte.
La salvezza non consiste nella
spiritualizzazione del dolore,
nel camuffarlo in qualcosa di tollerabile,
ma nell'aggrapparsi a questo atto di fiducia di Gesù,
nel farlo nostro.
Noi già oggi viviamo di una speranza
capace di uscire dal sepolcro.
Perché noi abbracciamo Cristo,
non la sofferenza e la morte.
Perché noi abbracciamo Cristo
che si fida del Padre
e risorge donandoci la sua Vita.
(1) Cfr. Mc 14,34
(2) Cfr. Lc 22,44
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