Ideatore del pool.
Scriviamo e parliamo di uomini come Chinnici, per non dimenticare, per non essere complici. Scriviamo e parliamo di questi testimoni, come forma di resistenza. Infatti, gli uomini come Chinnici, vengono uccisi, sia per interromperne l’azione, sia per far cadere nell'oblio il loro esempio. Li eliminano con il tritolo e li oltraggiano con il senso di inutilità: monito per eventuali imitatori. E allora, noi, anche per questo, continuiamo a scrivere e parlare: per non darla vinta alla morte e alla mafia, che poi sono la stessa cosa. Con il coraggio di chi rimane, infatti, la morte può trasformarsi da fine a moltiplicazione. Qui, più che le sue spiccate capacità professionali, desideriamo sottolineare la sua scelta umana. Da sposo innamorato, da padre premuroso e attento si è fatto carico della personale porzione di responsabilità, per il bene di tutti, per la liberazione di tutti, nonostante il clima pesante che si respirava, in quegli anni, in città e in tribunale. Mentre riceveva telefonate anonime a scopo intimidatorio, c’erano dei politici che accettavano i voti dei mafiosi o addirittura li cercavano. Mentre svolgeva le indagini, con rigore e sacrosanta intransigenza, riservandosi le decisioni più delicate e rischiose, c’erano dei magistrati a cui tremava la mano e si riduceva la vista davanti a certi nomi. Mentre combatteva la mafia, anche dal punto di vista culturale, andando nelle scuole, c’erano dei giornalisti che ne minimizzavano la minaccia.
Etica.
"Io non faccio il magistrato per il portafoglio o la vanagloria, ma per gli altri, per tutti, per un dovere sociale, per fermare questo fenomeno criminale organizzato, la mafia, che non è solo quella che uccide", affermava Chinnici con convinzione (1).
La colazione preparata ai suoi figli, il saluto al portiere, lo sguardo d’intesa con i suoi angeli terreni (che non l’hanno abbandonato nonostante i pericoli), sono stati i suoi ultimi gesti di umanità, prima di cadere nello svolgimento del proprio servizio.
Memoria.
Il 29 luglio 1983 è un venerdì d’estate. Di mattina presto, a Palermo, giacciono a terra, nella devastazione, i corpi del giudice Rocco Chinnici, degli uomini della scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, del portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. C'è anche l'autista, Giovanni Paparcuri, ferito grave, ma sopravvissuto.
Rocco Chinnici, 58 anni, ha lasciato moglie e 3 figli.
Mario Trapassi, 32 anni, ha lasciato moglie e 4 figli.
Salvatore Bartolotta, 38 anni, ha lasciato moglie e 5 figli.
Stefano Li Sacchi, 60 anni, ha lasciato moglie e una nipote.
(1) Citazione in Fabio De Pasquale - Eleonora Iannelli, Così non si può vivere. Rocco Chinnici: la storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili, Rx-Castelvecchi, Roma 2013, p. 174
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