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Don Giuseppe Morosini: lasciarsi interpellare dalla giustizia

Don Giuseppe Morosini, sacerdote, antifascista, collaboratore della banda Fulvi comandata da Fulvio Mosconi, fucilato al Forte Bravetta, Roma,  il 3/4/1944
Seduto sulla sedia, in attesa del fuoco di morte del plotone di esecuzione, forse hai visto scorrere le immagini della tua vita.
Mentre accoglievi il dono del sacerdozio.
Mentre portavi viveri e indumenti a chi era costretto a nascondersi nelle grotte di Roma, in zona Monte Mario.
Mentre introducevi ebrei e altri ricercati in un Ospedale e li facevi fuggire tramite una porta comunicante con il Collegio Leoniano in cui risiedevi.
Mentre trasmettevi informazioni utili alla causa della resistenza.
Mentre decidevi di attraversare la storia, senza astrazione o ignavia, cercando di realizzare le esigenze di giustizia del Regno di Dio.
Mentre ti tradivano per settantamila lire.
Mentre ti rifiutavi di rivelare i nomi degli altri membri dell’organizzazione con cui collaboravi e di ritrattare le tue responsabilità.

Così adesso, quando saremo tentati di scegliere ciò che è conveniente e non ciò che è giusto, di assecondare l’oppressore di turno, ripenseremo a queste testimonianze:

«Una volta alla settimana [Don Morosini] si recava nelle caverne e nei nascondigli [dei ricercati] per celebrarvi la Messa e condividere con loro le amarezze di quella vita impossibile. Poi s'accorse che l'assistenza religiosa non bastava. Scarpe, vestiti, cibarie giunsero allora a destinazione con una regolarità ed una industria ammirabili. Per lui, Don Giuseppe, questo era Vangelo vissuto, era una necessità del cuore, era un dovere della sua anima di sacerdote» (1).

«Detenuto a Regina Coeli, sotto i Tedeschi, incontrai un mattino Don Giuseppe Morosini. Usciva da un “interrogatorio” delle SS. Il volto tumefatto grondava sangue. Come Cristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà. Egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono. Nei suoi occhi brillava una luce. La luce della sua fede. Benedisse il plotone di esecuzione dicendo ad alta voce: “Dio perdona loro. Non sanno quello che fanno”. Come Cristo sul Golgota. Il ricordo di questo nobilissimo martire vive e vivrà sempre nell'animo mio» (2);

«La fede dovette aiutarlo in modo straordinario, ma le sofferenze fisiche e morali furono grandi. Ogni giorno, ogni ora di quei tre mesi [di detenzione] furono più lunghi di anni» (3);

«...Raccolto dopo l’esecuzione, fu messo in una cassa, che poi fu collocata in un carro funebre. I Tedeschi non volevano che io accompagnassi la salma. Ma, messami la Stola, io salii sopra il carro funebre e così attraversai tutta Roma accompagnando questo Sacerdote, il quale aveva dato la sua vita per il popolo, proprio per mettere in pratica gli insegnamenti di nostro Signore Gesù Cristo» (4).

(1) Don Giuseppe Morosini, Medaglia d’oro al Valore Militare, Seli, p. 16-17
(2) Sandro Pertini, testimonianza in Alberto Cedrone, Don Giuseppe Morosini. Ricordi e testimonianze di chi l’ha visto da vicino, Edizioni Terme Pompeo, Ferentino 1994, p. 43
(3) Giuliano Vassalli, testimonianza in Alberto Cedrone, Don Giuseppe Morosini. Ricordi e testimonianze di chi l’ha visto da vicino, Edizioni Terme Pompeo, Ferentino 1994, p. 6
(4) Card. Luigi Traglia, testimonianza in Alberto Cedrone, Don Giuseppe Morosini. Ricordi e testimonianze di chi l’ha visto da vicino, Edizioni Terme Pompeo, Ferentino 1994, p. 51

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Foto: Pixabay

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